Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate

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Ormai non passa giorno che non senta qualcuno che ha lasciato il nostro paese o che vorrebbe che i propri figli lo lasciassero. Io sono tra questi e nonostante sia dispiaciuto per aver aspettato così tanto dopo il matrimonio ad aver messo al mondo mio figlio, adesso, a denti stretti e con un’incazzatura che neanche potete immaginare, non posso che esserne in parte sollevato. Se lui fosse più grande la possibilità di vederlo lontano da me sarebbe sempre più concreta perché a breve non vedo che ombre, anzi buio fitto sul nostro futuro. Né so come e quando potrà cambiare la situazione. In questi giorni riflettevo come in azienda senta gente più vecchia di me dire che un periodo del genere mai s’era visto. Il problema è che sono 5 anni oramai che questa cosa la sento e tutti a giurare che ogni volta è peggio, avvalorando la mia percezione. E mi stupisce vedere agenti di commercio già navigati e che hanno sempre ostentato ottimismo come la professionalità e la strategia del proprio lavoro imporrebbe, lasciarsi andare ad amare considerazioni su prospettive future. Proprio due di questi mi hanno parlato dei loro figli in questo senso. M. ha la figlia che si è trasferita a Londra da qualche mese. Lei me ne parla sempre col magone, ma io la figlia l’ho vista su FB sorridente, a differenza di altre foto più vecchie dove non traspariva affatto quella gioia. E l’ho detto a M. per rincuorarla, e lei sì, ha convenuto e mi ha detto con un sorriso strappato a forza che comunque era meglio così, perché sua figlia adesso è felice e realizzata. Lavora in un pub, è ben voluta e dal part time è passata già al tempo pieno. Lì funziona ancora la meritocrazia, una parola che in Italia spesso sa di vetusto, ma che sì, lo dico con vanto e lo rivendico con forza, in piccole, anzi micro imprese come la mia funziona ancora. Mi ha stupito e fatto piacere il fatto che se V., la figlia della mia amica, sbaglia una birra, deve mettere in cassa il costo della stessa. Poi magari, come successo veramente, vai a casa e passando in macchina vedi un deposito di cassonetti dell’immondizia (pubblico) coi cassonetti nuovi  accatastati come se fossero stati scaricati dal camion col ribaltabile e capisci che sì, V. ha fatto davvero bene ad andare a Londra…Altro caso quello di E., agente di commercio anch’egli, emigrato dalla Sicilia credo ormai più di trent’anni fa e ora residente ad Alessandria. Anni fa mi raccontava di quello che era lavorare nella sua terra ai tempi in cui arrivò al nord e sorridevamo amaramente pensando ad un mondo, senza offesa per nessuno, più lontano nel tempo che nello spazio. Adesso, anche lui quasi con le lacrime agli occhi si trova il figlio ventenne col problema di non trovare lavoro o di trovarlo sottopagato (non per brame di ricchezza, ma per esigenze di sopravvivenza!). E a malincuore ha consigliato il figlio di fare quello che lui ha fatto trent’anni prima, di emigrare, ma questa volta oltre confine. Insomma, quando i padri, le madri invitano i propri figli ad emigrare capisci che qua è tutto da rifare, che il tempo della speranza è forse finito anche se questa è sempre l’ultima a morire. Siamo di fronte ad un’economia di guerra, senza che una guerra (come la si intende nella storia) ci sia mai stata negli ultimi anni. Ma una guerra, non armata, o con armi non convenzionali, c’è stata ed è tuttora in corso, senza sapere quando finirà. Non si sa da dove sia partita (ok, Lehman Brothers, ma siamo sicuri che fosse la causa scatenante e non il pretesto?), chi la guidi e dove ci porterà, ma i dati sono chiari, vi bastano questi grafici (dati riferiti al terzo trimestre 2013)?

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Qua mi sembra che ci sia a monte un disegno ben preciso per farci tornare indietro nel tempo, del resto Monti e prima di lui Prodi e Padoa Schioppa l’avevano detto, vero?  Leggete queste sue dichiarazioni dell’ormai lontano 2003, undici anni fa

Nell’ Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’ essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità.

Le parole sono forti e questo gli va dato atto, senza troppi filtri. Ma oggi i nostri politici (amplificati dai media-megafono)  parlano spesso di un ritorno all’’austerità! Facciamo attenzione all’uso delle parole con le quali puntualmente veniamo infinocchiati. Austerità è sintomo di sobrietà, sottintende moralità, rigore, tutti concetti positivi per una società civile. Ma questa non è austerità, qua si torna al vassallaggio, ad una ristretta cerchia di potere dove il potere è fine a sè stesso, dove i soldi sono consequenziali ad esso ma non ne sono l’essenza primaria. Dice giustamente l’amico Abate Faria su Il Contagio, riprendendo Noam Chomsky, che stiamo facendo la fine della rana bollita, che cuoce a fuoco lento abituandosi al dolore fintanto da non riuscire più a reagire ad esso. Qua non ci vorranno far crepare, questo no. Il potere, il vassallaggio ha bisogno dei suoi sudditi, vorranno farci chinare la testa e farci restare nell’ignoranza. Anzi, l’ignoranza è parte costitutiva e fondante del vassallaggio, guardate come cercano di nasconderci le porcate che escono tutti i giorni dai palazzi del potere…Avremo la brama di un lavoro sottopagato che ci permetta di sopravvivere e nulla più (pensate a Papa Francesco quando dice che un uomo che perde il lavoro perde la dignità…). E stanno testando così la tenuta dello stato sociale, vedere fino a dove ci si possa spingere. Guardate il caso Electrolux, con proposte di decurtamento dello stipendio in modo tale che un operaio non possa guadagnare più di 800 € al mese. Proposta avvalorata da Davide Serra, l’amico delle Cayman di Renzi, colui che sta redigendo il Jobs Act col neo segretario piddino (pensate a cosa ne uscirà…). Si è fatta una parziale ma sostanziosa marcia indietro, ma intanto il tentativo di forzare c’è stato e chissà quante ne dovremo vedere fintanto che potrà avvenire lo sfondamento di quel muro e lo sfaldamento della tenuta sociale del paese. Insomma, tornando ai nostri figli, ma anche a noi per chi è ancora in tempo e se la sente, a malincuore credo che il presentarsi valigie in mano in un nuovo paese sia una scelta triste ma quasi necessaria (a meno di non avere un grosso spirito di sopportazione o non poterlo fare per altri motivi). Chiedo a chi va di farmi solo una cortesia, di portarsi dietro un cartello e di esporlo alla frontiera per chi volesse tornare indietro o per i pazzi che dall’estero volessero emigrare in Italia. Su quel cartello provvederò io stesso a scrivere: “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”. La frase era di un noto fiorentino. Quello sì, un grandissimo patriota e di vedute assai ampie

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